mercoledì 6 dicembre 2006

I Falliti



Sto per terminare la lettura di un grande libro, scritto da un grande alpinista-pensatore dei giorni nostri.

I Falliti e altri scritti è una sorta di antologia, una raccolta del pensiero di Gian Piero Motti, che si evolve di pari passo con la sua crescita alpinistica, terminata bruscamente nel 1983 con il suicidio.


Gli aspetti di quest'opera che più mi hanno colpito sono, in rapida sintesi:


  1. la scoperta di un ambiente ricchissimo, quello dell'arrampicata delle valli torinesi degli anni 70-80, sia dal punto di vista umano, che alpinistico: mi è piaciuto molto leggere capitoli ambientati nel gruppo Castello-Provenzale, nel Briançonnais, a Rocca Sbarua, posti in cui abbiamo arrampicato anche noi, anziché le solite grandi imprese sulle grandiose pareti del Bianco, del Cervino o dell'Himalaya.


  2. La conoscenza di una fase importante e rivoluzionaria dell'alpinismo italiano, di cui avevo sempre sentito parlare (I Falliti, Il Nuovo Mattino).


  3. Parlando di un alpinismo pieno, completo e consapevole, riporto qualche frase significativa: "E nemmeno voglio passare per un amante del rischio, nemico di coloro che rendono sicuri i punti di fermata in palestra. Trovo idiota e senza senso rischiare su dei chiodi a pressione mal piantati: se serve un chiodo a pressione o uno spit, lo si pianti a dovere in modo che dia tutte le garanzie di sicurezza. In questo senso onore al merito al lavoro che è stato fatto a Foresto. Ma il mio discorso è più sottile e chi lo ha voluto capire lo ha capito: è l'estensione di questa mentalità che mi preoccupa, perchè porta l'arrampicatore a una sorta di illusione, ponendolo poi in situazioni fortemente critiche quando si verrà a trovare di fronte a vie schiodate (non sempre i nut possono sostituire un chiodo), all'eventualità di attrezzare un punto di fermata difficile o peggio una calata in corda doppia, al cui ancoraggio affidiamo tutta la nostra esistenza, ottavo-gradisti o terzo-gradisti che si sia. A volte cercare troppo la sicurezza può portare proprio al risultato contrario: l'intento è in buona fede, ma alla fin fine produce l'effetto negativo di illudere disabituando al pericolo, che in montagna, non dimentichiamolo, esiste sempre." Dedicato a...


Gian Piero Motti

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